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Dal ghetto alla sagrestia, una scala salvò ebrei

Dal ghetto alla sagrestia, una scala salvò ebrei

Giorno della Memoria. Il ricordo della parrocchia di Campitelli

ROMA, 23 gennaio 2024, 17:03

di Manuela Tulli

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Manuela Tulli) La scala è un po' buia e ancora oggi nascosta da una porta. Eppure quegli scalini furono la salvezza per una cinquantina di ebrei di Roma perseguitati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Nella parrocchia di Santa Maria in Portico in Campitelli, a due passi dalla centrale piazza Venezia, all'epoca dei fatti il quartier generale di Benito Mussolini, sono diverse le famiglie ebree che trovarono riparo. L'ingresso nei locali della chiesa era possibile non solo dal sagrato in piazza Campitelli ma anche da un anonimo portone che partiva dal Portico d'Ottavia, il cuore dal ghetto di Roma.
    "Di lì si saliva e si arrivava direttamente in sagrestia", racconta il parroco, padre Davide Carbonaro. Un ambiente abbastanza spazioso per accogliere diverse famiglie, e che oggi è la Sala Baldini dedicata agli incontri, anche quelli sul dialogo ebraico-cristiano. "Mi emoziona ogni volta pensare che qui è anche nata una bambina", riferisce don Davide.
    Era l'inverno del '43 e quella scaletta consentiva agli ebrei di mantenere per quanto possibile una vita normale. "Il giorno scendevano nel quartiere e lavoravano nelle loro botteghe, almeno fino a quando è stato possibile, poi la sera, quando la situazione era più pericolosa salivano per la scala verso la sagrestia". In chiesa gli uomini vestivano i sai dei chierici dell'Ordine della Madre di Dio, la congregazione alla quale è tuttora affidata la parrocchia. Le donne potevano confondersi più facilmente. Alcuni trovarono riparo anche nello studentato dell'Ordine, altri perfino nella cassa armonica del grande organo e nelle cantorie, quegli spazi delle chiese riservati ai cantori e spesso lontani da sguardi sospettosi.
    La piccola comunità ebraica in quei mesi imparò un minino di preghiere cattoliche, come l'Ave Maria o il Padre Nostro, perché dovevano essere in grado di recitarle in caso di incursione dei nazisti nei locali della chiesa.
    Non c'è un preciso censimento delle persone che furono salvate a Campitelli. "In quei giorni non si conservava memoria scritta di quanto stava accadendo - spiega il parroco - per motivi di sicurezza. Ma qualcuno negli anni è tornato per ringraziarci".
    Il Rettore Generale di allora, padre Giuseppe Forcellati, rischiò di essere deportato insieme alla Comunità religiosa. In seguito, nel 1955, le Comunità ebraiche d'Italia offrirono al religioso un riconoscimento. Agli inizi degli anni '90 la prima giornata del dialogo ebraico-cristiano stabilita dalla Conferenza Episcopale italiana fu celebrata proprio in quella Sala Baldini dal rabbino Elio Toaff e mons. Clemente Riva.
    "Nel corso di questi anni noi abbiamo ricevuto dagli anziani della Comunità un ricordo sostanziale di quanto accaduto e di quanta solidale e coraggiosa attenzione fu riservata per le famiglie di religione ebraica che vivevano in questo territorio.
    Ora a noi il compito di consegnare alle nuove generazioni quanto accaduto e che eventi di un passato così pieno di dolore non si ripetano mai più", conclude don Davide Carbonaro.
   

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