(di Luciano Fioramonti)
Un muro alto, solcato da fessure
oltre le quali si intravedono sagome umane muoversi come ombre
prima che si sollevi mostrando la scena di ogni atto. Al termine
del potente dramma di Leoš Janáček, fatto di amore, abusi e
violenze che culminano con l'omicidio di un neonato, saranno
solo i due protagonisti a superare questa linea di confine,
segnati dal dolore ma finalmente liberi dai vincoli e dalle
convenzioni sociali.
Applausi scroscianti ha riscosso la messa in scena di Jenůfa,
il capolavoro del musicista ceco che debuttò a Brno nel 1904,
proposta al teatro dell'Opera di Roma in coproduzione con la
Royal Opera House dal regista tedesco Claus Guth con la
direzione d'orchestra affidata a Juraj Valčuha, considerato tra
i massimi interpreti del compositore. Guth, al debutto a Roma
con l'allestimento presentato a Londra nel 2021 e premiato come
l'Olivier Award come miglior produzione operistica, ha eliminato
ogni riferimento realistico dell'ambientazione, lasciando ai bei
costumi di Gesine Völlm, in particolare a quelli delle scene di
ballo, il compito di rimandare al folklore del remoto villaggio
moravo. Tutto è puntato invece su pochi elementi simbolici per
descrivere il clima claustrofobico dai ritmi immutabili
dell'ambiente in cui si muove la giovane protagonista, promessa
sposa al giovane ubriacone Steva e sfregiata dal fratellastro di
lui, Laca, che invece la ama non ricambiato.
In questa realtà, che secondo il regista non lascia vie
d'uscita, la matrigna di Jenůfa, Kostelnička, cerca di
difenderla e tutelarla dagli abusi di cui anche lei è stata
vittima in passato. E così, quando la giovane scopre di esere
incinta di Steva che non vuole saperne del bimbo e ha già
trovato una nuova fidanzata, la tiene reclusa per mesi e decide
di uccidere il piccolo per cercare di salvarla. Il delitto si
scoprirà e l'anziana matrigna confesserà pubblicamente il suo
crimine ottenendo il perdono inaspettato di Jenůfa che capisce i
motivi del suo gesto e si lega a Laca convinta dalla sua
promessa di voler comunque restare al suo fianco.
La musica tesa e nervosa di Janáček scandisce ogni passaggio
della trama. riproducendo puntualmente i tormenti e gli stati
d'animo dei personaggi, ma lascia spazio a melodie più distese
come quando Jenufa descrive il suo bambino o nella recita del
Salve Regina. Il direttore Juraj Valčuha, che in Italia ha già
diretto questa opera qualche anno fa a Bologna, ha affrontato la
partitura insidiosa e impegnativa ottenendo il tributo caloroso
dal pubblico del Teatro Costanzi. Nel cast vocale di grande
livello hanno spiccato il soprano svedese Cornelia Beskow nel
ruolo del titolo, la collega finlandese Karita Mattila, che ha
dato una grande prova di attrice interpretando Kostelnička, e
il tenore Charles Workman come Laca. Applausi convinti anche per
il tenore Robert Watson (Steva) e il mezzosoprano Manuela Custer
(la vecchia Buryjovka) e il coro diretto da Ciro Visco.
Jenůfa, tassello conclusivo del progetto triennale dell'Opera
di Roma dedicato Janáček dopo Káťa Kabanová nella stagione
2021/2022 e Da una casa di morti l'anno scorso, avrà altre
quattro repliche fino al 9 maggio.
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