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La ricerca senza fine di Giorgio Morandi

Dal 28/2 al Vittoriano 150 capolavori del pittore bolognese

ROMA ANSAcom

Di Nicoletta Castagni

 

Le celebri nature morte di oggetti comuni o fiori di stoffa, i paesaggi assolati, le vedute cittadine di orti e cortili, le incisioni rarissime, i disegni dominati dal biancore della carta: l'arte di Giorgio Morandi torna a Roma dopo 40 anni in una grande mostra allestita al Complesso del Vittoriano fino al 21 giugno. Esposte circa 150 opere, di cui un centinaio di straordinari dipinti provenienti da collezioni pubbliche e private, capaci di ricostruire la 'traiettoria ben tesa', come diceva Roberto Longhi, della ricerca condotta con rigore e dedizione fino all'ultimo dal pittore bolognese. Presentata oggi alla stampa, 'Giorgio Morandi. 1890-1964' (prodotta da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia) è una bellissima antologica curata dalla direttrice della Fondazione Longhi Maria Cristina Bandera, tra le massime studiose del maestro di via Fondazza, che è riuscita a mettere insieme una selezione sorprendente per varietà e qualità, toccando tutti i punti della produzione morandiana e allestendo testimonianze della storia collezionistica italiana del XX secolo. Schivo, poco incline all'ufficialità, legato più al suo ruolo professorale che a quello di pittore, Morandi, nonostante tutto, era al centro di una serie di strette relazioni con i maggiori critici e storici dell'arte del tempo, come Longhi, Ragghianti, Lionello Venturi, Cesare Brandi, che lo seguirono con estrema attenzione collezionando i suoi capolavori apparentemente statici e uguali nel tempo. E invece oggetto di un continuo rinnovamento, di una instancabile evoluzione percepibile già dal primo sguardo nella generosa mostra romana, frutto di un complesso lavoro curatoriale. ''Questa esposizione è una specie di consuntivo delle mie ricerche su Morandi e della pittura italiana del '900'', ha detto la Bandera, ideatrice di molte rassegne nell'ultimo decennio. Questa del Vittoriano, in particolare, si ricollega a quella curata da Brandi nel 1973 alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, l'ultima nella capitale. ''All'epoca Morandi era un grande pittore italiano, oggi è un artista internazionale'', ha sottolineato la studiosa ricordando il successo americano dell'artista. Nel 2009, il presidente Obama, dopo averlo ammirato in mostra, ha portato alla Casa Bianca una sua Natura morta. Ecco quindi che rassegna si sviluppa in maniera cronologica proprio al fine di documentare il percorso creativo di Morandi, partendo dai disegni, dagli acquerelli e dalle incisioni, per le quali ha ricevuto importanti riconoscimenti. Il nucleo centrale resta però quel centinaio di dipinti realizzati dal maestro bolognese dal 1910 ai primi anni' 60 e prestiti eccezionali da musei e collezioni. Lì sono ancora più evidenti le fasi che hanno caratterizzato una ricerca costante e distesa nel tempo, dalla grande Natura morta del Centre Pompidou del 1914, in cui sono presenti le suggestioni cubiste, passando dai paesaggi in cui si concretizza ''la sintesi tra Paolo Uccello e Cezanne''. Ma anche Giotto, gli antichi maestri (ricerca il colore degli affreschi), nonché di Rousseau, Carrà, de Chirico. Ecco quindi la Natura morta metafisica di Brera o quella della collezione dell'Eni, dove, oltre al richiamo a Cezanne, c'è quello al '600 romano, con il pane che rimanda al Caravaggio della 'Cena di Emmaus'. Non manca l''Autoritratto' degli Uffizi, in cui Morandi indossa l'abito del professore più che del pittore, e ispirata indubbiamente a Corot, cui fanno seguito i lavori degli anni '20, quando, consapevole delle proprie capacità, imbocca in piena autonomia la propria strada. A segnare queste opere è una maggiore volumetria e un impegno particolare sulla materia cromatica. Macina i colori, li rende polverosi, scialbi, a volte brillanti. Bianco su bianco. Gli oggetti comuni si rimpiccioliscono, ne inventa di nuovi, su cui far meglio scivolare la luce. Crea composizioni diverse, come la tela della raccolta Ragghianti, tagliata con le cesoie nella parte superiore. O inserisce piccoli giochi di bimbi, un colpo di colore, di dinamicità innocente. Le opere provenienti dalle collezioni Magnani Rocca, Longhi, Merlini, Matteucci raccontano gli anni '50 e il progressivo risalto delle forme, a sostituire gli oggetti veri e propri, in una tensione che porterà l'artista, negli anni che precedettero la morte, a raffigurarne solo l'essenza limitando il disegno e pervadendo lo spazio di denso colore.

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