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Un patto per salvare il Pianeta

Un patto per salvare il Pianeta

A Parigi il vertice Cop21, ultima chiamata per il clima della Terra


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

di Stefania De Francesco


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A Parigi l'ultima chiamata

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Ghiacciai che si sciolgono, mari che crescono così tanto da inghiottire piccole isole e sommergere città costiere; ondate di calore, siccità, terre aride che non danno più raccolti e costringono intere popolazioni a migrare e a conflitti per l’accesso alle risorse; problemi di sicurezza alimentare, carestie, mancanza di acqua potabile, epidemie, specie animali e vegetali che spariscono per sempre, smog che avvolge le metropoli e uccide. Non è la sceneggiatura di un film di fantascienza. E’ la Terra di fine millennio se non si ferma ‘la febbre del Pianeta’. La Conferenza mondiale sul clima (Cop21) dal 30 novembre all’11 dicembre a Parigi è ormai ‘l’ultima chiamata’ per un accordo globale giuridicamente vincolante che riduca le emissioni di gas a effetto serra, causa principale del riscaldamento globale che potrebbe condurci sulla soglia di non ritorno. Obama lo ha detto in modo netto: “Agire o sarà la fine del mondo”. E il nostro ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha ribadito: "Non avremo un’altra opportunità". Per il suo omologo francese Segolene Royal “è in gioco la sicurezza mondiale”. L’economista britannico Lord Nicholas Stern, fra i maggiori esperti mondiali di cambiamento climatico, ha chiarito che “senza interventi le prime forti conseguenze si vedranno nell’arco di 20-30 anni ma in circa un secolo la situazione sul pianeta potrebbe diventare catastrofica".


DUE GRADI.
Autorevoli scienziati a livello mondiale e migliaia di studi sui cambiamenti climatici avvertono da tempo che l’aumento della temperatura media della Terra non deve superare al massimo i due gradi rispetto al periodo precedente la rivoluzione industriale (1850). Gli ultimi tre decenni sono stati uno più caldo dell’altro e purtroppo, nel mondo si è già innescato un meccanismo per cui assistiamo ad eventi meteorologici estremi. Già li vediamo e in molti li subiscono. Le alluvioni in Italia e i morti che hanno provocato sono solo l’esempio più vicino a noi. Anche con uno stop immediato alla CO2 gli effetti sono ormai destinati a protrarsi per molti secoli. E’ ormai certo che il 2015 strapperà al 2014 il primato dell’anno più caldo di sempre, cioè da quando sono disponibili le rilevazioni a livello mondiale (1880), dopo che ogni mese – ad eccezione di gennaio e aprile – ha segnato un record di temperature della Terra e degli oceani.  E’ probabile al 95-100% che l’uso dei combustibili fossili insieme con la deforestazione abbiano causato più della metà dell’aumento della temperatura media globale entro i due gradi.

LA RESPONSABILITA' DELL'UOMO
Gli esperti puntano l’indice contro le scelte economiche e di vita dell’uomo, soprattutto contro l’uso di petrolio, carbone e gas, che stressano a tal punto la natura da renderla incapace di adattarsi. Quindi è l’uomo l’unico che può intervenire. Nell’ultimo loro report, il quinto, pubblicato nel 2014, dopo una gestazione di sette lunghi anni, gli esperti che studiano il clima su mandato delle Nazioni Unite (Ipcc, Intergovernmental panel on climate change) hanno affermato che nonostante la crisi il volume globale di gas climalteranti ha continuato ad aumentare: tra il 2000 e il 2010 è cresciuto come mai nei tre decenni precedenti. Nell'era industriale, le concentrazioni di CO2 in atmosfera sono aumentate del 40%, da 280 a oltre 400 parti per milione. Gli scienziati suggeriscono perciò di tagliare entro il 2050 le emissioni tra il 40% e il 70% rispetto al 2010, riducendole poi fino a un valore prossimo allo zero entro la fine del secolo.

Se a livello globale non si faranno gli sforzi necessari per tagliare i gas a effetto serra la temperatura media del globo terrestre potrebbe crescere tra 3,7 e 4,8 gradi centigradi nel XXI secolo, stima uno degli scenari elaborati da 235 autori di 58 Paesi mettendo a confronto oltre 10mila fonti scientifiche. Con lo scenario peggiore, che si avrebbe con l’aumento di 4,8 gradi, il livello del mare potrebbe salire di quasi un metro.

SPAZIO PER GLI SCETTICI E PER I NEGAZIONISTI SEMBRA NON ESSERCI.
Se questi frenano su un futuro ‘catastrofico’, la realtà già dimostra gli effetti dell’abuso di combustibili fossili, fonti energetiche privilegiate in alcuni Paesi come Germania, Cina e altri Stati orientali. Peraltro,i costi di mancati interventi sarebbero altissimi. Italia e Ue sono invece tra le realtà più avanzate al mondo nel contrasto al riscaldamento globale, grazie alla crescita nella produzione di energia da fonti rinnovabili. L’Unione europea dal 1990 al 2014 ha ridotto le emissioni di gas serra del 23% superando il target del 20% fissato al 2020. Se gli scienziati suggeriscono lo stop ai combustibili fossili e una spinta all’energia verde, sono i politici che devono a decidere. Da loro quindi dipende la sorte del Pianeta. E’ il sistema economico che va cambiato. Le dieci maggiori compagnie petrolifere del mondo dicono di voler essere “parte della soluzione” e di volersi impegnare nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e nella lotta contro i cambiamenti climatici.

Il Papa dopo l’enciclica 'Laudato si’' sul Creato, in cui ha indicato che si tratta di un problema etico e morale, in vista della Cop ha richiamato a stili di vita sostenibili sul piano umano ed ecologico auspicando che il sistema economico promuova la piena realizzazione di ogni persona e l'autentico sviluppo del Creato.

A Parigi i leader di 195 Paesi più la Ue - che fanno parte della Convenzione sul clima dell’Onu - sono chiamati ciascuno a fissare i propri obiettivi di emissioni in modo da contenere entro 1,5-2 gradi l'aumento della temperatura emtro fine secolo. Si punta ad una clausola che permetta di valutare e rivedere gli impegni ogni 5 anni. Le nazioni sviluppate devono poi arrivare a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo a contrastare i cambiamenti climatici e risarcirli dei danni che hanno già subito. Il supporto a questi Stati, sia finanziario che tecnologico, dovrà proseguire anche dopo il 2020. Per ora il 95% dei Paesi ha assicurato impegni concreti ma se anche fossero rispettati, non si riuscirebbe a tenere l'aumento delle temperature sotto i 2,7 gradi. C’è l’impegno personale dei big del Pianeta per un accordo ambizioso e duraturo. Ma questo non dà certezza che sarà giuridicamente vincolante. Dal 7 dicembre cominceranno i colloqui a livello politico. E' una sfida senza precedenti. Il destino del Pianeta per ora resta a rischio.

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Galletti, Parigi è l'ultima 'chiamata' per il pianeta

Galletti, Parigi è l'ultima 'chiamata' per il pianeta

Cambiamenti climatici, cause ed effetti

Il manifesto della Cop21
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Apocalisse smog

Apocalisse smog
Apocalisse smog © ANSA/EPA

New Delhi è la città simbolo dell’inquinamento. Ma nella prima metà di novembre la Cina si è guadagnata titoli dei media per "l’allarme apocalisse dell’aria". Voli cancellati, autostrade chiuse, visibilità di 500 metri al massimo. Il livello di inquinamento nella metropoli di Shenyang è stato "il piu' alto mai registrato" in Cina e nel mondo. L’8 novembre il livello di particelle di polveri sottili (P.M. 2,5), ritenute rischiose per la salute, è stato di 1400 microgrammi per metro cubo, cioè 56 volte più alto di quello ritenuto il massimo sopportabile per l'organismo umano dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che è di 25 microgrammi per metro cubo. Gli ospedali si sono riempiti di pazienti con difficoltà respiratorie e molte farmacie hanno esaurito le scorte di mascherine protettive.

New Delhi, che ha 18 milioni di abitanti, è considerata la metropoli più inquinata del mondo dall'Oms che ha stilato una classifica delle città in cui l'aria è più irrespirabile. Lo smog in India è legato in particolare all'alto livello di polveri sottili provocate dai gas di scarico, dai cantieri edili e da diverse attività di combustione di rifiuti. Sempre nella prima metà di novembre, la capitale indiana ha registrato una nuova impennata di inquinamento dopo le celebrazioni di Diwali, la più importante festa induista paragonata al Natale in cui è tradizione far scoppiare fuochi d'artificio, petardi e altri giochi pirotecnici.

Tra le 20 città più inquinate del Pianeta nessuna è cinese anche se, ha puntualizzato l'Oms, la classifica si basa sui dati forniti dalle stesse città e "alcune delle peggiori non stanno raccogliendo i dati correttamente". L'inquinamento in Cina è infatti considerato una vera e propria epidemia, con un tributo superiore ai quattromila morti al giorno, più di quelli che fa in tutto il pianeta la Tbc, ha calcolato il Berkeley Earth, istituto dell'università della California specializzato in analisi statistiche. Circa il 17% di tutte le morti in Cina è attribuibile allo smog, un totale di 1,6 milioni di decessi all'anno dovuti soprattutto alle malattie di cuore, polmoni, a partire da asma e tumori, e all'aumento degli ictus.

L'inquinamento atmosferico causa ogni anno la morte prematura di oltre 3 milioni di persone a livello mondiale, con una maggiore incidenza in Asia secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature, in base al quale la mortalità da inquinamento dell'aria potrebbe raddoppiare entro il 2050 arrivando a interessare 6,6 milioni di persone all'anno. Stando ai dati, le emissioni derivanti dall'energia residenziale, ad esempio per riscaldarsi e cucinare, sono prevalenti in India e Cina e hanno l'impatto più alto a livello mondiale sulle morti premature. In molte aree degli Usa a pesare sono il traffico e la produzione di energia, mentre in Europa, Stati Uniti orientali, Russia e Asia orientale le emissioni provenienti dall'agricoltura danno il contributo maggiore alle polveri sottili.

Secondo un rapporto recente dell'Oms sono 7 milioni i morti ogni anno dovuti direttamente o indirettamente all'inquinamento dell'aria, in buona parte concentrati proprio in Asia. L'Europarlamento ha invece stimato per l'Europa oltre quattrocentomila morti e fra i 330 e i 940 miliardi di euro in termini di costi per la salute. Secondo i meteorologi mondiali, tra il 1990 e il 2014 c'è stato un aumento del 36% del ''forzante radiativo'' (rapporto tra energia che entra e quella che esce nel sistema Terra-atmosfera, se è positivo aumenta la temperatura atmosferica) a causa di gas serra, cioè anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), che sono generati da attività industriali, agricole e domestiche.

Cina e Stati Uniti d’America insieme sono responsabili del 45% di tutte le emissioni inquinanti del mondo. In un accordo firmato a novembre 2014 la Cina si è impegnata a cominciare a ridurre le emissioni dopo aver raggiunto il picco nel 2030, mentre gli Usa hanno promesso che entro il 2025 taglieranno un 26-28% delle loro attuali emissioni. Tra i grandi inquinatori del Pianeta c'è l'India che si è detta contraria a un accordo per combattere i cambiamenti climatici che includa l'impegno globale a eliminare gradualmente i combustibili fossili entro la fine del secolo. L'India dipende dal carbone per la maggior parte del suo approvvigionamento energetico e, nonostante gli impegni ad ampliare l'utilizzo di fonti rinnovabili, afferma che la sua economia è troppo piccola e la sua popolazione troppo povera per porre fine al combustibile fossile cosi presto.

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New York come Atlantide

(Greenpeace)
(Greenpeace) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Isole spazzate via e città sommerse dal mare. New York come Atlantide in meno di 200 anni. Bye bye anche a Miami e New Orleans, il loro futuro è ormai segnato: finiranno sott'acqua qualunque sia l'impegno di oggi o del futuro per fermare il riscaldamento globale. Da Tokyo a Londra passando per Rio de Janeiro e Sydney, per arrivare ai più poveri Paesi asiatici, il mondo potrebbe perdere molte città e mettere in fuga 150 milioni di persone che vivono in aree costiere 'basse', a non più di un metro sopra il livello del mare. Il riscaldamento degli oceani, lo scioglimento delle calotte in Groenlandia e in Antartide e la fusione dei ghiacciai montani accelerano e portano con sé questa grave minaccia.

Dal 1992 ad oggi il mare è salito in media di 8 centimetri, ed entro la fine del secolo la crescita potrebbe sfiorare il metro. La Nasa avverte che la velocità con cui le acque salgono è aumentata rispetto ad appena 50 anni fa, e in futuro "probabilmente andra' peggio". Studiando i dati satellitari degli ultimi 23 anni, gli esperti hanno registrato una crescita del mare non uniforme: in alcune aree della Terra l'aumento è stato di 25 centimetri, mentre in altre, tra cui la costa ovest degli Usa, si è verificato un abbassamento dovuto alle correnti oceaniche e a cicli naturali. Nel 2013 l'Ipcc delle Nazioni Unite ha stimato fra i 30 e i 90 centimetri l'innalzamento del livello del mare entro il 2100. Che il livello si alzerà di poco meno di un metro Steve Nerem, a capo del Sea Level Change Team della Nasa, è abbastanza certo; sul quando dice che può anche accadere oltre la fine di questo secolo.
Negli ultimi 10 anni, stando ai satelliti, l'Antartide ha perso in media 118 miliardi di tonnellate di ghiaccio all'anno; la calotta della Groenlandia addirittura 303 miliardi.

Se poi bruciassimo tutte le riserve di combustibili fossili del Pianeta a cui possiamo attingere, immettendo in atmosfera 10mila miliardi di tonnellate di CO2, l’intera calotta antartica collasserebbe, e di conseguenza il livello del mare salirebbe di 50-60 metri sommergendo le case di oltre un miliardo di persone. Uno scenario non a breve termine, si parla di un arco temporale di centinaia di secoli, ma l'avvertimento lanciato dagli scienziati appare chiaro: occorre passare alle energie rinnovabili, scrivendo la parola fine su petrolio, carbone e gas naturale.

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Un'arma puntata contro l'orso bianco

il 30% degli orsi polari sparirà entro il 2050 (fonte: Wwf)
il 30% degli orsi polari sparirà entro il 2050 (fonte: Wwf) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Senza più ghiaccio l'icona dei poli è destinata a scomparire. Ma oltre all'orso sono tante le specie a rischio, alcune anche nei nostri mari già invasi da specie aliene, provenienti dai Tropici, pericolose per alcuni pesci nostrani e tossiche per l’uomo. In Europa il 20% di piante e animali a rischio estinzione e' minacciato dalle specie invasive.

Lo scenario disegnato dall'aumento delle temperature potrebbe consegnarci ''un Pianeta invaso da specie adattabili e invasive'' dice il Wwf nel report 'Biodiversità e cambiamenti climatici'. Diverse specie di animali e piante, l'84% di quelle che vivono in ambienti aridi, per fuggire al riscaldamento del Pianeta si stanno spostando. Ma per le specie d'alta quota non esistono vie di fuga. La riduzione dei ghiacciai e dei periodi di innevamento su tutto il Pianeta sta minacciando molte specie alpine. In queste aree di criosfera vivono 67 mammiferi terrestri, 35 marini e 21.000 di altre specie di animali, piante e funghi.

Il ghiaccio e' vitale per la sopravvivenza degli orsi ma anche di balene, pinguini, trichechi, leopardo delle nevi, stambecchi, pernici bianche, ermellini, stelle alpine e abete bianco. Al contrario, con temperature più calde potrebbero proliferare zanzare, meduse e parassiti tipo il punteruolo rosso, il killer delle palme, e le zecche.

Impressiona sapere da un’indagine del Geological Survey, un'agenzia scientifica del governo Usa, che a causa dello scioglimento dei ghiacci gli orsi hanno perso la piattaforma da cui cacciare le foche e alcuni esemplari hanno preso a nutrirsi di bacche, uccelli e uova sulla terraferma. Con conseguenze sulla sopravvivenza di altre specie: stando a studio ornitologico internazionale, i pochi orsi che mangiano uova di uccelli marini riescono a ingurgitarne oltre 200 in un paio d'ore. L'anno scorso, in un sito di nidificazione delle isole norvegesi di Svalbard, tra le uova e i piccoli di ogni specie - dalle anatre marine al gabbiano glauco all'oca facciabianca - nessuno è sopravvissuto alla fame dell'orso bianco. E questa alimentazione non basta a saziare l'orso, che per sopravvivere ai rigidi inverni artici ha bisogno di una dieta ricca di grassi, assicuratagli solo dalle foche. Per questo nel giro dei prossimi 35-40 anni - è l'allarme degli esperti - un terzo dei 26mila esemplari che oggi resistono nell'Artico sparirà per effetto del surriscaldamento del Pianeta.

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Foreste e oceani polmoni del pianeta

Campagna Wwf per Amazzonia, in 50 anni perso 20% foresta
Campagna Wwf per Amazzonia, in 50 anni perso 20% foresta - RIPRODUZIONE RISERVATA

Assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno. Foreste e oceani sono i polmoni del pianeta. Ma sono minacciati: le prime da deforestazione, incendi, conversione in pascoli e per far posto a dighe, agricoltura, urbanizzazione; i secondi da inquinamento che li avvelena, cambiamento climatico che li surriscalda e acidifica e pesca illegale che li svuota. 

La Nasa vuole studiare come il riscaldamento globale sta alterando il 'respiro' del Pianeta, per capire se in futuro gli oceani, i ghiacci e le foreste saranno ancora in grado di assorbire l'anidride carbonica emessa dall'uomo: senza il loro prezioso contributo, oggi avremmo in atmosfera il doppio di questo gas serra. Gli esperti dell'agenzia spaziale statunitense in questi mesi stanno avviando nuove missioni sul campo e dallo spazio per monitorare la situazione.

Circa il 30 per cento delle terre emerse del nostro pianeta, per 4 miliardi di ettari, è ancora ricoperto dalle foreste. Ogni anno, in tutto il mondo, 13 milioni di ettari (dati Fao 2010) vengono distrutti per soddisfare il crescente fabbisogno di carta, carne, soia, olio di palma e legno. Negli ultimi 25 anni, il mondo ha perso circa 129 milioni di ettari di foresta, un’area grande quasi quanto il Sud Africa - eppure, rispetto al 1990, il ritmo a cui oggi gli alberi vengono abbattuti si è dimezzato - e lo stoccaggio di CO2 nella biomassa forestale è diminuito di 17,4 miliardi di tonnellate, dice la Fao. La deforestazione e la degradazione degli ambienti forestali sono responsabili globalmente di circa il 20% delle emissioni di gas serra quindi non riusciremo a ridurre l'impatto del cambiamento climatico e a promuovere lo sviluppo sostenibile se non salvaguardiamo le nostre foreste, è il monito che arriva da più parti. L’Amazzonia in meno di un anno, da agosto del 2014 a febbraio 2015 ha visto aumentare la distruzione della sua foresta del 215%.

Piantare alberi dove ora non ci sono, e' un'arma per contenere i livelli di anidride carbonica. Le foreste sono vere e proprie 'spugne' per la CO2, per come la assorbono e la trattengono, tanto che dentro quelle 'buone', quelle in grado di autorigenerarsi, sono custodite 860 miliardi di tonnellate di carbonio. Abbatterle amplifica le catastrofi naturali, è come "strappare la cintura di sicurezza" ai territori e alle popolazioni. E l'Asia, vittima di una "incalzante deforestazione" è il continente in assoluto più flagellato da eventi come inondazioni, tsunami, alluvioni e siccità. Secondo il Global Forest Watch l'uomo ha spogliato il pianeta del 30% della sua copertura forestali e di quel che rimane solo il 15% è ancora intatto. Tra il 2010 e il 2030 potranno andare persi 170 milioni di ettari di foreste nel globo. E se il trend in atto non viene fermato, entro il 2050 gli ettari persi arriveranno a 230 milioni.

Riscaldamento e acidificazione stanno riducendo la diversità delle specie marine, con preoccupanti prospettive per gli ecosistemi e le risorse ittiche. Il 90% degli stock di pesce e' sovrasfruttato e le specie marine hanno registrato un declino del 39% solo tra il 1970 e il 2010, mentre la meta' dei coralli e' ormai scomparsa. A causa dell’aumento della temperatura degli oceani entro la fine dell'anno la Terra rischia di perdere il 5% dei suoi coralli, pari a una superficie di 12mila chilometri quadrati, è l’allarme del Noaa (l'Amministrazione oceanica e atmosferica statunitense), secondo cui siamo in presenza di un enorme e globale evento di 'sbiancamento' dei coralli, il terzo dopo quelli registrati nel 1998 e nel 2010.

Le aree marine protette tutelano, sulla carta, meno del 4% degli oceani del Pianeta, con i target internazionali che variano tra il 10% entro il 2020 e il 30% entro il 2030. A mancare sono però i soldi, anche se ogni dollaro investito ne renderebbe almeno tre fra posti di lavoro, risorse e servizi. Stando a una ricerca commissionata dal Wwf all'università di Amsterdam, ampliare le aree protette garantirebbe un ritorno economico tra i 490 e i 920 miliardi di dollari nel periodo 2015-2050.

Ricercatori dell'Università dell’università di Adelaide, in Australia, spiegano che la vita marina è stata già colpita negli anni recenti da acque inquinate, scarichi fognari e pesca eccessiva, e il cambiamento climatico peggiorerà le cose negli anni a venire. E’ molto più probabile che gli animali più in alto nella catena alimentare, compresi i grandi predatori, saranno colpiti più duramente dal cambiamento climatico rispetto alle specie più in basso, affermano avvertendo che si teme un collasso progressivo delle specie, dalla cima della catena alimentare a scendere.

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