Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.

Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.

Puoi leggere tutti i titoli di ANSA.it
e 10 contenuti ogni 30 giorni
a €16,99/anno

  • Servizio equivalente a quello accessibile prestando il consenso ai cookie di profilazione pubblicitaria e tracciamento
  • Durata annuale (senza rinnovo automatico)
  • Un pop-up ti avvertirà che hai raggiunto i contenuti consentiti in 30 giorni (potrai continuare a vedere tutti i titoli del sito, ma per aprire altri contenuti dovrai attendere il successivo periodo di 30 giorni)
  • Pubblicità presente ma non profilata o gestibile mediante il pannello delle preferenze
  • Iscrizione alle Newsletter tematiche curate dalle redazioni ANSA.


Per accedere senza limiti a tutti i contenuti di ANSA.it

Scegli il piano di abbonamento più adatto alle tue esigenze.

Chiedimi chi era Ayrton

Chiedimi chi era Ayrton

Senna raccontato a un ventenne


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

di Giampiero Moscato e Nicola Lillo


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Condividi

   Diceva che con il Cielo fosse una cosa sola: ''Nessuno mi può separare dall'Amore di Dio''. Lui, che qualche tratto divino l'aveva nei lineamenti, nei gesti e soprattutto nell'enorme talento, se ne andò un pomeriggio di 20 anni fa facendo la cosa che, dopo Dio, amava di più: la velocità. Andando al massimo. A 300 all'ora.

   Bisogna che qualcuno te lo dica chi fosse davvero Ayrton Senna. Cosa puoi saperne tu, che vent'anni fa non eri ancora nato? Il mondo 2.0 brucia in fretta - anzi subito - i suoi protagonisti. Un'ora fa è il vecchio, ieri è il passato. E’ un modo diverso, quello del terzo millennio, di approcciare la storia. Tutto è così immediato, e l'istante dopo qualcosa distrae già l'attenzione. C'è altro da vedere. Vivere nella velocità è un dovere. Ecco, qui tra te e lui c'è una somiglianza che forse ti aiuta a capire chi fosse in realtà questo gentiluomo brasiliano. Amava la velocità, si diceva. Viveva per lei. Morì, per lei.

   Era l'1 maggio del 1994. Festa dei lavoratori. Forse fu l'unico giorno della sua vita, oltre che l'ultimo, in cui andò a lavorare contro voglia. Presagio di quello che sarebbe accaduto alle 14:17 di 20 anni fa? Forse (il Cielo gli era vicino, si diceva), ma soprattutto era quello che era accaduto nei giorni precedenti in quel maledetto fin di settimana imolese che lo turbava.

   Era, Ayrton, il miglior pilota in circolazione, solo Alain Prost pareva poterlo insidiare. Era da poco approdato alla corte di Frank Williams, dopo i trionfi e i tre mondiali conquistati con la McLaren. Nel frattempo una diavoleria ingegneristica che teneva le monoposto incollate al suolo, quali erano le sospensioni attive, era stata abolita, circostanza che purtroppo avrebbe giocato un ruolo, assieme a troppe altre, sul suo destino terreno. Lui era il più forte e sicuramente il più veloce in pista. Nelle prime tre gare di quell’anno fatale non a caso partì sempre dalla pole position, di cui era il recordman, 65 in carriera.

   Eppure già in Brasile, al debutto, e nel prosieguo, ad Aida, non era riuscito ad arrivare alla bandiera a scacchi, vittima di un testacoda a casa sua e di un incidente con Mika Hakkinen in Giappone. Primo al traguardo in entrambe le gare arrivò un certo Michael Schumacher, su Benetton. Che effetto fa pensare che, vent'anni dopo la scomparsa del 'rey', il kaiser tedesco sia in un limbo di incoscienza per danni cerebrali analoghi, anche se non fatali, a quelli che uccisero il tre volte iridato sette giri dopo il via del Gp di San Marino. Qualche astuzia tra i paletti del regolamento rendeva velocissima la macchina di Michael, ma soprattutto lui arrivava in fondo. La Williams no.

   C'era qualcosa che disturbava la guida pulita (Ayrton resta l’eroe di sempre del giro perfetto) del miglior pilota della storia. Di certo, il nostro non sopportava di subire da quello sprezzante tedesco. E poi c'era qualcosa nella progettazione della sua macchina che non andava. Non c’era spazio a sufficienza, per le mani guantate, tra scocca e volante, le nocche sfregavano sul metallo che le circondava. I tecnici e i meccanici della scuderia fresarono quella parte del telaio, per dare maggiore agio alle manovre del pilota. Ma non bastava.

La magia di Senna dal bianconero al colore

AYRTON SENNA
AYRTON SENNA - RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Citazione

Lucio Dalla, "Ayrton"

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Eravamo a Imola, era il primo maggio

E allora, agli ingegneri venne in mente una soluzione stile uovo di Colombo. Se si fosse segato il piantone dello sterzo e saldata una sezione di pochi centimetri, tra i due monconi separati, di spessore più ridotto nel giunto in cui l’asta si appoggiava, l’intero sistema sterzante sarebbe potuto scendere verso il basso di qualche millimetro, per dare maggiore agio alle mani di Ayrton.

Di certo questo empirismo da officina ebbe un ruolo nel destino del campione brasiliano. Non c’erano più le sospensioni intelligenti, gli asfalti che fino a un anno prima risultavano lisci come un biliardo si rivelarono quell’anno per le nuove e meno sofisticate sospensioni un po' meno confortevoli, almeno il fondo del Circuito del Santerno. Dove prima le macchine passavano come sui binari, ecco che all’improvviso pareva di correre una sorta di rally. Pieni di dossi e di avvallamenti, di rugosità, i circuiti ’94. Le monoposto ballavano sull’asfalto come fosse un’esibizione di tip-tap. Troppo, evidentemente troppo per l’indebolito piantone della Williams su cui Ayrton scaricava la forza delle sue mani per le curve e le correzioni di rotta.

Tu che hai vent’anni forse non puoi sapere che all’epoca le scuderie non erano laboratori di ingegneria spaziale come sono oggi: erano officine vere. Si mettevano placche e bulloni per riparare sospensioni e mozzi. C’era un più spiccato spirito avventuriero (oggi si direbbe incoscienza, ma sarebbe ingeneroso per quegli uomini che hanno inventato la F1) nell’affrontare i 300 all’ora. E poi…

Ci sono troppi poi in questa storia, ma bisogna che tu possa capire chi fosse Ayrton e perché morì. Ed eccolo, un ennesimo poi: i regolamenti erano meno sofisticati di oggi, le vie di fuga per ridurre le conseguenze di fuoripista erano meno lunghe, i muri erano di cemento e non protetti da schermi di gomma, e i prati in alcuni casi non erano in salita com’è logico ma a volte in discesa, con conseguente perdita di contatto col suolo e un devastante effetto planante. Così era quella al Tamburello di triste memoria.

Era presago di tutto questo, forse, l’uomo che sussurrava al Cielo. Certamente era consapevole dell’incredibile incidente di Rubens Barrichello che al venerdì si schiantò volando a oltre un metro dal suolo contro un muretto provvidenziale in quel caso (dietro c’era il pubblico). Certamente aveva fatto triste tesoro dell’incidente a Roland Ratzenberger, in cui un altro schianto su un muro costò la vita allo sfortunato pilota austriaco nel sabato di qualifica.

Era sindacalista dei piloti, Ayrton. Con lui, in commissione, c’era anche Gerhard Berger. Quella notte qualcuno raccolse il suo sfogo. Non avrebbe voluto correre, si dice. I due, seguiti da un cronista, prima della corsa cercarono di entrare nella torre della Direzione Corsa. Trovarono la porta chiusa. Rinunciarono. A quel punto, il riluttante Ayrton decise che avrebbe corso comunque. Per se stesso, ma anche per Roland e per i milioni di tifosi che nel mondo lo amavano e lo amano tuttora.

E corse da par suo, in una corsa resa una Dunquerke della F1 da una serie di incidenti al via e nei primi giri che avrebbero suggerito una sospensione vera, se non un annullamento. E invece, rientrata la safety car, la corsa ripartì per l’epilogo più doloroso. Al settimo giro (come mostra con raggelante chiarezza il video del Cineca) l’epilogo. Il piantone cede, lo sterzo diventa inutile, la Williams non sterza più.

Ti si può risparmiare lo strazio del seguito, il corpo steso al suolo, la tracheotomia, quel movimento della testa che accese speranza ma che in realtà fu un singulto, la dichiarazione di morte alle 18:40 (all’epoca seguiva l’arresto cardiaco, oggi sarebbe stata dichiarata all’arrivo in ospedale), l’esame del corpo (oltre a una sorta di colpo di punteruolo alla fronte provocato dal braccetto della sospensione, sul corpo rimase solo un tatuaggio impresso dalla trama delle cinture di sicurezza su una spalla), il processo. Di questo puoi sapere tutto anche tu, giovane ragazzo del Duemila, veloce come un pilota a smanettare sul web.

Chi c’era può raccontarti che quel primo maggio divenne un po' come l'a.C. e il d.C., anzi l'a.S. e il d.S. della F1. Nulla sarebbe più stato come prima. Prima di Senna. Dopo Senna. E non è un caso che dopo Ayrton, in pista, non sia più morto nessuno. Cambiò tutto, a partite dai regolamenti e dai crash test. Lui amava la velocità, i milioni di appassionati che lo compiangono come nessuno odiano che la velocità e un banale guasto meccanico abbiano privato il mondo del suo immenso talento. Oggi è tutto più sicuro. Almeno quel sacrificio non fu del tutto vano.

 

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Citazione

Alain Prost, il rivale di sempre

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Senna, dal Tamburello al mito

Venti anni dalla scomparsa del campione brasiliano

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Senna, dal Tamburello al mito
Senna, le ultime immagini prima dell'impatto fatale a Imola

Ricordiamolo campione gentile

    Resta un’altra cosa da dirti. Quell’uomo nato insuperabile, bello, ricco, famoso e amatissimo, non sussurrava solo all’orecchio della divinità. Parlava con chiunque. I paddock non erano il luogo finto e blindato di oggi, i piloti erano più rock e meno star, ed era possibile per i fortunati che avevano accesso (molto più numerosi e appassionati di oggi) avvicinarli, i loro beniamini. Tra tutti (e questo gli costava qualche battuta di scherno degli altri), il più disponibile era proprio Ayrton, che non solo firmava autografi a richiesta: faceva lui capannello coi tifosi.

    E ai cronisti non era vietato avvicinarlo: poteva appropinquarsi il più prestigioso degli inviati come il più umile cronista di provincia che lui, con fare educato, avrebbe risposto in qualunque delle lingue parlate nel Circus, oppure avrebbe rinviato di qualche minuto, appena avesse potuto. E tornava: per raccontare da par suo la sua visione del mondo e delle corse, con grammatica perfetta in italiano, inglese, francese, spagnolo, parlate tutte con quell’irresistibile accento brasiliano che sfoggiava superbamente.

   Quanta saudade. Per Ayrton, per tempi che non ci sono più.

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Condividi

O utilizza

Magazine

Uccelli ultrà, pappagalli alieni e rapaci al Vaticano: primavera metropolitana

Nella Città Eterna un lago naturale nato solo 30 anni fa in seguito a una speculazione edilizia è diventato un hot spot di biodiversità (Foto copertina ANSA/Virginia Farneti)

martino.iannone@ansa.it

La lezione di Basaglia, a 100 anni dalla sua nascita

Dall'ansia ai disturbi di personalità, una persona su 8 nel mondo soffre di disagi mentali, ma molte sono quelle che rinunciano a chiedere aiuto

livia.parisi@ansa.it

Sanno solo vincere, ora vogliono contare di più

La conquista della parità di genere in Italia la sfida che le campionesse come le dilettanti affrontano quotidianamente

martino.iannone@ansa.it

ANSA Corporate

Se è una notizia,
è un’ANSA.

Raccogliamo, pubblichiamo e distribuiamo informazione giornalistica dal 1945 con sedi in Italia e nel mondo. Approfondisci i nostri servizi.

Chiedimi chi era Ayrton