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Dove nascono i costumi del Teatro dell'Opera

Dove nascono i costumi del Teatro dell'Opera

Viaggio in ESCLUSIVA con l'ANSA nei laboratori e nei magazzini

25 luglio 2014, 19:10

Marzia Apice

ANSACheck

Laboratorio del Teatro dell 'Opera, a Roma. Foto di Valentina Stefanelli - RIPRODUZIONE RISERVATA

Laboratorio del Teatro dell 'Opera, a Roma. Foto di Valentina Stefanelli - RIPRODUZIONE RISERVATA
Laboratorio del Teatro dell 'Opera, a Roma. Foto di Valentina Stefanelli - RIPRODUZIONE RISERVATA

    Solo un portone impedisce agli sguardi indiscreti dei passanti di scoprire un autentico tesoro: in pochi conoscono il magazzino dei costumi del Teatro dell'Opera di Roma, custodito in un vecchio edificio che si affaccia imponente sul Circo Massimo. Sembra un luogo immobile, ma basta entrare per ascoltare un brulichio continuo di voci e attività e avvertire il profumo di un'aria che sa di storia, lavoro e passione. Perché in questo laboratorio-quartier generale, che opera in tandem con la sartoria dislocata nella sede del Teatro capitolino, si trovano circa 60mila costumi e accessori di scena. Un numero probabilmente sottostimato, visto che l'ultimo inventario risale a ormai 10 anni fa. ''Siamo artigiani fino al midollo'', spiega all'ANSA il capo sartoria Anna Biagiotti, costumista da 26 anni al Teatro dell'Opera di Roma, ''si cuce ancora a mano e non si butta via niente perché cerchiamo di riciclare tutto, anche le calze''. Qui ogni costume viene pensato su misura, dal taglio al colore alla confezione stessa. A una prima occhiata, sembra impossibile che qualcuno riesca a raccapezzarsi tra tutto questo materiale; le informazioni sono affidate alla memoria di chi ci lavora (''è tutto nelle nostre menti'', spiega la costumista) e ormai sono in pochi: tra magazzino e sartoria neanche 30 persone. Un aiuto per i profani arriva dalle etichette cucite su ogni costume, che riportano il titolo dello spettacolo, il personaggio e il nome dell'artista che lo ha interpretato. Per chi sa dove cercare, invece, ogni cosa è a portata di mano, pronta per tornare di nuovo sul palcoscenico, chissà quando e per quale opera. In questo luogo, dove il passato e il futuro si riannodano attraverso i fili del presente, si scoprono curiosità relative ai cantanti, con i tenori che sono bassi di statura e i bassi che invece a dispetto del nome sono più alti, o gli artisti di inizio secolo che erano più minuti rispetto a quelli di oggi. Un po' si trattiene il fiato quando ci si imbatte nei nomi eccellenti: ''Questa l'ha indossata Luciano Pavarotti agli inizi della sua carriera per il ruolo del Duca nel Rigoletto'', afferma Biagiotti, mostrando una giacca, ''poi ci sono i costumi dei mostri sacri del balletto, come Carla Fracci, maestra di grazia nel Lago dei Cigni, Rudolf Nureyev, geniale e minutissimo con la sua taglia 46, o Roberto Bolle, che invece sembra l'uomo vitruviano tanto è perfetto il suo fisico''. L'idea di lavorare gomito a gomito con chi, con la propria arte, è entrato nel mito è emozionante, ma non facile. ''Noi costumisti siamo anche un po' psicologi'', rivela Biagiotti, ''perché le star sono fragili, e soprattutto vogliono sempre apparire belle''. I fuoriclasse quindi non sono solo quelli che calcano il palco. Difficile rimanere impassibile di fronte agli abiti di scena di Caramba (al secolo Luigi Sapelli 1865-1936), costumista, disegnatore, scenografo, autore di autentiche opere d'arte, tra rifiniture preziose e splendide trame di seta. O ancora, non provare il desiderio di toccare i tessuti Fortuny, con il disegno del damasco riprodotto usando stampi di legno e polvere di metallo. L'elenco delle personalità che qui hanno impiegato la loro maestria è lungo: dai costumi dell'Alzira di Danilo Donati agli abiti di scena in pelliccia vera voluti da Luchino Visconti per il suo Don Carlos, dai costumi disegnati da Milo Manara per il balletto su Fellini a quelli nati dall'estro di Ugo Nespolo per il Don Chisciotte. Senza contare che tra gli anni '60 e '70 non era infrequente lavorare gomito a gomito nel laboratorio di sartoria con alcuni degli artisti figurativi più rappresentativi del panorama italiano, come De Chirico, Manzù e Guttuso. Inestimabile e unico al mondo, questo patrimonio ai più sconosciuto non solo potrebbe essere valorizzato ma rischia anche di perdersi se non tutelato correttamente. ''Avremmo bisogno di spazio e di moderne tecnologie per il restauro'', fa notare la costumista. ''Ma quello che più ci dispiace - continua - è non poter fare la formazione dei giovani''. E conclude: ''Rischiamo che nessuno sia più in grado di continuare un lavoro che prima di tutto è un mestiere artigianale'.

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