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Thyssen: Cassazione, colpe certe ma pene non aumentino

Sentenza rinvia processo in appello. Guariniello, ci batteremo

Le colpe dei sei imputati e dell'azienda sono certe, assodate, chiarite in via definitiva. Ma le condanne, nel nuovo processo d'appello, non potranno essere aumentate.

Ecco il senso della sentenza pronunciata la notte scorsa dalla Cassazione sul caso Thyssenkrupp. Fonti della Suprema Corte hanno voluto mettere in rilievo, in attesa del deposito delle motivazioni, un aspetto fondamentale ma che a una prima lettura del dispositivo si era prestato a interpretazioni differenti. Da piazza Cavour adesso fanno sapere che, siccome "il ricorso della procura è stato respinto", bisogna applicare il principio del "divieto di reformatio in pejus".

Tradotto in linguaggio corrente significa che i nuovi giudici, nel calcolo delle condanne, dovranno ritoccare qualcosa qua e là per quanto riguarda i singoli reati, ma nel tirare le somme non dovranno superare le pene inflitte nel precedente processo d'appello: in pratica, i 10 anni di carcere per l'ex ad Harald Espenhahn e le pene variabili fra i 7 e i 9 anni per gli altri 5 dirigenti. Nel Palazzo di Giustizia di Torino i pm centellinano le parole del dispositivo ("qui dice 'rigetta nel resto', non 'rigetta' e basta) e restano della loro idea: "Vedremo le motivazioni, ma in aula ci batteremo a spada tratta". Al di là della matematica, le responsabilità per l'incendio che nel dicembre del 2007 uccise sette operai sono ormai "passate in giudicato", confermano fonti della Cassazione.

Nel nuovo round procederà per omicidio colposo, incendio e rimozione volontaria di cautele contro gli incidenti, considerati come tre reati distinti (in precedenza l'incendio era considerato "assorbito" dagli altri). Ma non per omicidio volontario con dolo eventuale, come aveva chiesto la procura di Torino per il solo Espenhahn.

Il procuratore Guariniello ci tiene comunque a sottolineare che sei anni e mezzo per non avere ancora una sentenza sono troppi: "Noi avevamo chiuso le indagini in soli tre mesi, ma il nostro era un gruppo di lavoro altamente specializzato. La giustizia deve essere più rapida altrimenti non appare adeguata. Chi di dovere, nel Governo, nel Parlamento e in ogni altra sede competente, ne prenda coscienza".

"Eravamo speranzosi, ora ci sentiamo sconfitti e scontenti anche se sapevamo che sarebbe finita così". Rosina Platì, madre di Giuseppe De Masi, uno dei sette operai morti nel rogo della ThyssenKrupp di Torino, ha commentato in questi termini la sentenza della Cassazione. Secondo Rosina Platì, "è stata una sentenza pessima, ci hanno presi in giro".

Ora per i familiari "non resta che attendere la nuova sentenza della Corte d'Appello. Ci prepareremo. Saranno contenti gli imputati che erano pronti ad andare in galera e invece hanno trovato questa sentenza. Se non fosse per l'opinione pubblica, che si sarebbe rivoltata contro, li avrebbero pure assolti, ma non hanno avuto quel coraggio...".

Analogo il commento di un'altra familiare, Sabina Laurino, moglie di una delle sette vittime: "Non avevo dubbi che sarebbe finita così. Del resto, non è che la condanna degli imputati ci farà mai riavere i nostri cari. Ma non è vero che la giustizia è uguale per tutti, come dice la legge. Io non ci credo. Io mi affido a una sola giustizia, quella di chi sta sopra a tutti noi".

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