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Garlasco, "a Stasi 30 anni di carcere": la richiesta del Pg di Milano

Accusa, sistematiche omissioni al di là del diritto di difesa

Alberto Stasi "riferì particolari che solo l'assassino poteva conoscere" e quindi mentì quando nella tarda mattinata del 13 agosto di sette anni fa, diede l'allarme affermando di essere entrato nella villetta di Via Pascoli e di aver trovato il cadavere di Chiara Poggi. E poi contro di lui ci sono "indizi gravi, precisi e concordanti" e per tanto va condannato a trent'anni di carcere per omicidio aggravato dalla crudeltà. E' la condanna chiesta in aula dal sostituto procuratore generale di Milano Laura Barbaini nel processo di appello bis a carico dell'ex studente bocconiano il quale, per la seconda volta, si trova ed essere alla sbarra davanti alla corte d'assise d'appello dopo che la Cassazione ha annullato il verdetto con cui tre anni fa i giudici di secondo grado avevano confermato la sentenza di assoluzione del gup di Vigevano Stefano Vitelli. Una richiesta, quella formulata oggi pomeriggio, che, nonostante sia stata avanzata negli stessi termini per tre volte, avrebbe lasciato il giovane commercialista impietrito.

Il pg, nella sua ricostruzione durata circa sei ore, oltre a sottolineare che Stasi ha "sistematicamente cercato di ostacolare le indagini con continue omissioni che vanno al di là del diritto di difesa", ha valorizzato una serie di elementi raccolti in questi mesi a partire dalla fine dello scorso aprile, quando la Corte, presieduta da Barbara Bellerio, ha riaperto il caso disponendo un supplemento istruttorio e nominato nuovi periti per una serie di approfondimenti. Ecco allora che durante la sua requisitoria il rappresentante dell'accusa ha ripescato dagli atti del fascicolo alcune fotografie, finora mai prese in considerazione e ora mostrate in aula, per cercare di convincere i giudici che l'assassino di Chiara Poggi ha un nome.

E così ha puntato l'attenzione su una immagine in cui sulla maglietta del pigiama di Chiara, proprio sopra la spalla sinistra, si distinguono in modo netto le impronte di quattro dita, pollice escluso, insanguinate. Impronte che, a suo avviso, dimostrerebbero come l'aggressore avesse sollevato il corpo per gettarlo lungo le scale e che sono state di fatto 'cancellate' dalle manovre effettuate da chi, allora, rigirò il cadavere per rimuoverlo finendo con imbrattare completamente di sangue la maglia. Un elemento, quello delle tracce delle dita, che il pg ha 'incrociato' con le impronte di scarpe lasciate sul tappetino del bagno davanti al lavandino dall'aggressore e con le impronte di Stasi mischiate al Dna di Chiara ritrovate sul dispenser del sapone. Si tratta di indizi che, letti in modo unitario, hanno portato alla conclusione, per deduzione logica, che Alberto dopo aver assassinato la sua fidanzata e averla afferrata e gettata lungo i gradini, andò in bagno per lavarsi le mani. Il secondo nuovo indizio evidenziato dal sostituto procuratore generale Barbaini è una foto del cadavere della giovane donna scattata però, a differenza delle altre, senza flash ma con la luce naturale. In questo caso, ha sostenuto, era impossibile vedere il viso della vittima. Da qui la conclusione che il giovane non disse la verità quando agli investigatori disse che Chiara aveva il volto "pallido".

Nella sua requisitoria il pg, accanto a questi due 'inediti', ha messo in luce altri elementi acquisiti nel dibattimento con gli accertamenti supplementari. Per gli esperti nominati dalla Corte, i quali per la prima volta hanno ripetuto l'esame sperimentale della cosiddetta camminata di Alberto nella villetta dei Poggi estendendolo anche sui due gradini che il giovane aveva detto di aver sceso e alla zona antistante le scale, è impossibile che non si sia sporcato le suole di sangue e che non abbia lasciato tracce ematiche sul tappettino della sua auto. "In tanti anni di attività - ha aggiunto il magistrato - non si era mai verificato che due sentenze avessero escluso un accertamento così importante come quello sui gradini". Quanto al capitolo che riguarda il presunto tentativo di ostacolare le indagini con "continue omissioni", oltre al fatto che l'ex studente bocconiano non avrebbe consegnato agli investigatori tutte le scarpe che possedeva, il pg ha, tra l'altro, sottolineato come non avesse indicato tutte le biciclette di cui lui e la sua famiglia disponevano.

E poi, su quella bordeaux, la Umberto Dei, in seguito a una serie di approfondimenti, è stata dimostrata "l'anomalia dei pedali", quelli sui quali sono state rinvenute tracce di Dna di Chiara, ma che comunque non sono quelli originali: sarebbero stati sostituiti. "Siamo assolutamente soddisfatti di quanto il pg Barbaini ha esposto in aula", hanno commmentato Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, gli avvocati dei Poggi, ai quali giovedì prossimo passerà la parola per il loro intervento. Il 3 dicembre toccherà alle difese, mentre la sentenza è attesa per il prossimo 17 dicembre, lo stesso giorno in cui cinque anni fa Stasi fu assolto in primo grado.

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      Camera di Commercio di Milano
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