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Testimone giustizia demolisce casa abusiva boss

'Ndrangheta

Testimone giustizia demolisce casa abusiva boss

Costruita su area archeologica, per anni deserti bandi lavoro

ROSARNO (REGGIO CALABRIA), 16 settembre 2014, 11:29

Redazione ANSA

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'Ndrangheta: testimone giustizia demolisce casa abusiva boss - RIPRODUZIONE RISERVATA

'Ndrangheta: testimone giustizia demolisce casa abusiva boss - RIPRODUZIONE RISERVATA
'Ndrangheta: testimone giustizia demolisce casa abusiva boss - RIPRODUZIONE RISERVATA

 Nessuno la voleva demolire, nonostante gli atti fossero stati istruiti già dai primi anni del 2000. Tanto che ha continuato ad essere abitata sino al giugno del 2011, quando è stata sgomberata dalle forze dell'ordine. Ma adesso la casa abusiva dei boss della famiglia Pesce di Rosarno, realizzata in un'area archeologica, sarà demolita grazie all'imprenditore edile Gaetano Saffioti che da 17 anni vive sotto scorta per avere denunciato boss e gregari della 'ndrangheta della Piana di Gioia Tauro.
    Dopo un primo sopralluogo effettuato ieri, i mezzi del testimone di giustizia - come scrive il Quotidiano del sud - entreranno in azione oggi per avviare la demolizione che durerà alcuni giorni.
    L'immobile era di proprietà di Giuseppe Bonarrigo, di 78 anni, madre di Antonino, Vincenzo, Rocco, Savino e Giuseppe Pesce, quest'ultimo detenuto. Della casa e degli incontri tra boss che si svolgevano ha parlato anche Giuseppina Pesce, la figlia del boss Salvatore divenuta collaboratrice di giustizia.
    Duecentocinquanta metri su un solo piano, realizzata a metà degli anni '80 in piena zona archeologica, la casa era stata acquisita al patrimonio del Comune di Rosarno nel 2003 dal sindaco dell'epoca Giuseppe Lavorato. Per tutta risposta, alcune settimane dopo, la facciata del Comune fu raggiunta da decine di colpi di kalashnikov. Nonostante questo il sindaco andò avanti e istruì gli atti per la demolizione. Tutti i bandi pubblici successivi, però, andarono deserti. Compreso l'ultimo, fatto un anno fa dall'attuale sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi.
    Il prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino, in sinergia con il Comando provinciale dei carabinieri, interessato dalla Tripodi, ha accelerato l'iter ed ha contattato l'impresa di Saffioti, il quale ha detto subito sì e da oggi è al lavoro con i suoi mezzi.
   

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